Leggere musica o suonare a orecchio?

Frammento 5

Leggere musica o non leggerla? “Oh (mi sento ripetere da anni), ma in fondo a che serve? Oggi abbiamo le tablature, e possiamo ascoltare direttamente dagli audio gli originali di tutto ciò che ci piace, per poi poterlo studiare e “imitare” … leggere note è per musicisti classici, per “sgobboni” e intellettuali della musica” … E poi sento ancora dire: “In fondo ci sono stati tantissimi grandi musicisti che non conoscevano le note. Prendi ad esempio Paco De Lucia, o i padri del blues neri, o il grande Ravi Shankar (che si affidò a un trascrittore per dettare (a “voce”) la bellissima colonna sonora di Chappaqua!” E poi, a sproposito, si citano anche i grandi jazzisti, dimenticando che il jazz richiede una preparazione teorica di gran lunga superiore a quella classica!

Che dire? Ognuno è libero di pensare come meglio crede. Io posso solo raccontare la mia esperienza personale. Quando a 14 anni cominciai la pratica del solfeggio (grazie, Giorgio, ovunque tu sia), mi ponevo le stesse domande. Io volevo solo suonare il basso come Paul McCartney, e sbatacchiare le mie dita sulle quattro corde cantando She Loves You a squarciagola! A che mi serviva il solfeggio? Così dopo qualche mese abbandonai quel genere di studi, ignorando che quel poco che avevo imparato mi sarebbe rimasto indelebilmente dentro e che nel tempo sarebbe riaffiorato. A sedici anni, durante la mia esperienza con i Fantom’s, la vicinanza con quel grandissimo artigiano musicale che è stato il compianto Sergio Liberovici (autore colto di musiche teatrali e colonne sonore) mi fece capire quanto ero ignorante! Ecco, penso che ognuno dovrebbe attraversare una fase in cui possa prendere ragionevole consapevolezza della propria ignoranza e vergognarsene un poco. Naturalmente, per orgoglio da adolescente incazzato, continuai a ripetermi che il rock non aveva bisogno di quel genere di conoscenze. Ma la bellezza del “capire”, e del “sapere ascoltare” in maniera più matura tutto ciò che ci piace, prese a poco a poco il posto di quella adolescenziale ed esaltata passione per il “glang glang” dei miei primi furori elettrici e cominciai ad innamorarmi di tutto … ossia strumenti a fiato, suoni acustici e suoni elettronici, note inseguite sulla carta e note fissate per sempre sulle vecchie bobine dei miei primi registratori stereofonici, magie popolari e inferni elettrici, ragas indiani e tanghi argentini, e infine la Matematica della Musica – che ancora oggi non posso dire di comprendere pienamente – ma di cui continuo ad essere innamorato. In tal modo, mi sono semplicemente limitato ad aderire a quelle antiche parole di saggezza che ci insegnano a tentare di conoscere più che possiamo ciò che amiamo se vogliamo veramente amarlo! Tutto qui.

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