Le limitazioni dell’abbondanza

Oggi, qualunque appassionato di musica può usufruire della rete per venire a conoscenza o addirittura “impossessarsi” della vastissima produzione musicale realizzata tra il 900 e l’inizio di questo nuovo secolo! Ciò ha creato – a mio giudizio – quello che io definisco ironicamente “Il Regno dell’Abbondanza”. Tutti possono ascoltare tutto (o quasi) e aggiungere alle proprie collezioni i più disparati generi e i più disparati artisti! Naturalmente, chi negherebbe la positività di tutto ciò? Con qualche “clic” si scoprono i vecchi rockers dei primi anni 60, la preziosa discografia di Beatles & Stones, nomi dimenticati del panorama beat e psichedelico, artisti soul quasi del tutto sconosciuti al grosso pubblico del Bel Paese, e poi le preziose perle del rock progressive, le radici dell’hard rock e del metal, le prime formazioni di jazz rock che hanno aperto la strada alla fusion, il folk rock di gruppi storici quali i Fairport Convention o i fantastici Jethro Tull, il primo irripetibile Bowie, tutto glam e lustrini, che anticipa la new wave degli anni 80 e ne detta le regole principali, e nomi dimenticati, che riemergono con un semplice “clic” dal passato … Meraviglioso, vero? Certo, sarebbe sciocco e ipocrita negarlo, però … dov’è finito il lento e faticoso procedere dell’assimilazione? Dove sono finite la fatica della scoperta e la meraviglia del ritmo evolutivo, che porta le cose a trasformarsi a poco a poco sotto i nostri occhi (dovrei dire “le nostre orecchie”)? Ahi … vedo già le velenose ondate della critica aggredire queste mie astruse domande! Allora riformulo tutta la questione in un altro modo: dove sono finiti il sacrificio per acquisire le cose e la passione per la singola scoperta? Come si possono amare e “realmente” comprendere migliaia di cose accumulate e archiviate, che spesso non si ha nemmeno il tempo di riascoltare più di una volta?

Il cammino della musica è stato velocissimo tra la metà degli anni 60 e la metà degli anni 70. In nemmeno un decennio, ci hanno fatto volare dal rock ‘n’ roll di Chuck Berry alla disco music dei Kraftwerk! Ma per gli appassionati non è stato facile seguire quell’imprevedibile e luminoso cammino! I dischi costavano, e la tanto invidiata generazione giovane degli anni 60 (a parte qualche fortunata eccezione) non aveva grandi risorse economiche! Considerando poi che non erano ancora diffusi nemmeno i registratori a cassette (con gli ormai obsoleti nastri magnetici), la musica bisognava conquistarsela! Bisognava trovare l’amico con cui scambiarsi temporaneamente i dischi di vinile, sperando che non te li rovinasse, e magari organizzare dei pomeriggi di ascolto collettivo. Allora la musica ci entrava dentro a poco a poco, in lente e abbaglianti stratificazioni! I generi – prima ancora che nascessero tutte quelle stupide etichette di sotto-generi – prendevano forma da un artista all’altro, durante i nostri ascolti. La legge del sacrificio (un principio universale che non dovrebbe mai essere dimenticato) richiedeva da parte nostra quelle piccole somme di denaro che avremmo speso magari in altre cose! E non solo; richiedeva anche la “cura” di ciò che ci rendeva felici. La cura dei delicati dischi di vinile, la cura della puntina del giradischi – che a qualcuno era costata mezzo stipendio o l’intera paghetta mensile! Tanto per capirci meglio, non potevamo sostituire un intero hard disk con 10.000 brani musicali con la scusa – sempre valida per i genitori di ogni tempo – che quella roba ci serve anche per la scuola o per altro!

Si aspettava l’uscita dei dischi quasi con religiosa attesa messianica. I giornali specializzati cominciavano a raccontarci che questo o quell’altro artista (o band) si era chiuso in sala di registrazione e stava facendo grandi cose. Il crescendo spasmodico dell’attesa si scaricava il giorno dell’uscita nei negozi con quel piacevole senso di colpa che ti mettevano addosso i tuoi genitori quando ti dicevano: “Ancora un disco? Ma ne hai già tanti?” … e tu temevi quasi di togliergli il cellofan per non sciuparlo!

Ecco cosa intendo per “legge del sacrificio”. A buon intenditor poche parole! Detto ciò, ci tengo a precisare che non voglio aprire nessuna polemica sul Regno dell’Abbondanza; voglio solo sottolineare l’importanza che hanno la lenta e progressiva assimilazione di generi e culture musicali diverse nella formazione individuale dell’ascoltatore, che si tratti di un amatore o di un aspirante musicista. L’Abbondanza può sommergerci, e senza una giusta conoscenza cronologica degli sviluppi musicali e della “storia” che si cela dietro quelle migliaia di registrazioni, prevalgono solo i gusti e le opinioni personali, spesso viziate dalla facilità con cui si usufruisce di quell’immenso patrimonio artistico!

Spartaco Nagliero

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